Le strutture archeologiche
Prezioso e raffinato, il più piccolo dei tre teatri dell’antica Roma fu costruito nel 13 a.C. da Lucio Cornelio Balbo, spagnolo di Cadice, con il bottino delle vittorie riportate sulle popolazioni libiche. Al teatro era annesso un vasto cortile porticato, piuttosto angusto, chiamato crypta. Era qui che gli spettatori trovavano riparo in caso di pioggia o si radunavano durante le pause degli spettacoli, ed è proprio qui che duemila anni dopo, in quelle stesse strutture, sorge il Museo.
Nel portico, sul lato opposto al teatro, si apriva un’ampia esedra, uno spazio semicircolare oggi visitabile, decorato all’interno con statue. Lo scorrere del tempo modificò, a poco a poco, il paesaggio del teatro, della crypta, dell’esedra e di tutto il quartiere che gli sorgeva intorno. Nel corso della storia il complesso ha conosciuto una continua e inesorabile trasformazione.
Lo splendore del monumento romano, delle abitazioni e delle botteghe che gli si estendevano subito a ridosso, lasciò il passo all’incuria, all’abbandono e alla distruzione.
Ne sono testimonianza le vicende dell’esedra, occupata nel corso del VI secolo da una serie di sepolture, usata come scarico di materiali prodotti da una vicina officina nel secolo successivo e quindi scelta nell’VIII secolo per impiantarvi una calcara. Nel corso dell’XI secolo l’esedra ospitò anche un balneum, un complesso di ambienti dedicati all’igiene personale dei monaci di un vicino monastero.
Al muro della Crypta Balbi si addossarono nuove abitazioni, quelle dei mercanti emergenti con i loro commerci; la presenza delle loro botteghe è ricordata nel nome della viabilità moderna, “Via delle Botteghe Oscure”.
Al centro di quello che era il portico del teatro romano, nel IX secolo venne costruita la chiesa di Santa Maria Dominae Rosae che successivamente, nel XVI secolo, fu trasformata nella chiesa e nel monastero dedicati a Santa Caterina di Alessandria. Alla Santa erano particolarmente devoti i funari, fabbricanti di funi, da tempo insediati in questa area. Nel monastero di Santa Caterina vennero accolte le “zitelle”, le giovani figlie delle prostitute romane salvate dalla strada e avviate alla vita monastica o al matrimonio. Le ragazze imparavano a leggere, scrivere, e a svolgere alcune attività domestiche.
Il monastero sopravvisse fino all’età moderna, mentre le aree circostanti l’isolato della Crypta Balbi vennero interessate da importanti interventi urbanistici (gli sventramenti per l’apertura di Corso Vittorio Emanuele e di via Arenula prima, l’ampliamento di via delle Botteghe Oscure poi).
Agli inizi degli anni Quaranta del secolo scorso l’isolato della Crypta Balbi, con il monastero di Santa Caterina, divenne proprietà dell’Istituto Nazionale Cambi con l’Estero che vi progettò una nuova sede, mai realizzata.
L’area dell’antico monastero demolito cadde in uno stato di abbandono, mentre le case circostanti continuarono a essere abitate fino agli anni Sessanta, quando le ricerche archeologiche identificarono con il complesso di Balbo i resti ancora visibili dell’antico monumento.
Passarono molti anni prima che tutto l’isolato fosse acquisito dallo Stato, avviando lo straordinario progetto di recupero di un’intera area del centro storico di Roma, che si concluse nel 2000 con l’inaugurazione della nuova sede del Museo Nazionale Romano.
Il Portico
Del possente muro in travertino e tufo della Crypta Balbi restano oggi preziose testimonianze nel Museo, dove è stato ricostruito anche uno dei pilastri in mattoni rivestiti di stucco. Notevoli sono i resti dell’esedra, utilizzata a partire dall’età adrianea come grande latrina del Teatro.
La Porticus Minucia Frumentaria
Nell’area oggi compresa tra via delle Botteghe Oscure e corso Vittorio Emanuele, subito a nord della Crypta Balbi, sorgeva, a partire dal I secolo d.C., la Porticus Minucia Frumentaria, un grande quadriportico destinato alle distribuzioni gratuite di grano ai cittadini di Roma.
Il quartiere antico
Tra il I e il V-VI secolo d.C. a est dell’esedra si sviluppò un quartiere abitativo. Tra i suoi vicoli sorgevano edifici a due piani, riccamente decorati, un panificio, un mitreo (luogo di culto dedicato al dio Mitra) e una bottega per smacchiare e colorare le stoffe (fullonica). Visitarlo significa fare un tuffo nel passato ed essere proiettati nel frastuono di un quartiere di età romana vivace e operoso.
La calcara e le attività produttive
Gli eccezionali materiali del deposito dell’esedra confermano il ruolo che Roma continuò ad avere nella produzione di oggetti di lusso ancora nel VI-VII secolo. Sempre nell’esedra si impiantò nell’VIII-IX secolo una calcara, impiegata per trasformare in calce i pregiati marmi lavorati recuperati dai vicini monumenti romani e dall’esedra stessa. I frammenti marmorei provenienti dallo scavo si possono ancora ammirare all’interno del Museo.
Il Balneum
Un modesto impianto per la cura personale dei monaci, dotato di due ambienti riscaldati mediante pavimenti sospesi su pilastrini e di un forno per il riscaldamento dell’acqua, occupò l’area dell’esedra dall’XI al XIV secolo. Un ritrovamento eccezionale, unico nel suo genere, che ci permette di comprendere come la tradizione romana delle terme e della cura del corpo, continuasse senza soluzione di continuità, seppur variata nei modi e nelle dimensioni, fino al pieno Medioevo.
La chiesa
Fin dal IX secolo, al centro del portico del Teatro di Balbo, si insediò la chiesa di Santa Maria Domine Rose, il cui nome è legato a una nobildonna ricordata come sua fondatrice. La chiesa era collegata al cosiddetto Castellum Aureum, una residenza fortificata ricavata sulle rovine del Teatro. Dell’edificio originale sono conservati solo alcuni muri restaurati più volte fino al XVII secolo. Le pitture superstiti si riferiscono alla tombe di due vescovi benefattori: Ludovico Torres e Bartolomeo Piperis, ancora visibili nel cortile esterno del Museo.
Il complesso di Santa Caterina dei Funari
Il complesso di Santa Caterina dei Funari venne costruito sulla scia delle grandi attività intraprese dai Gesuiti per iniziativa di Ignazio De Loyola. Composto dalla Chiesa, dal Convento delle monache e dal Conservatorio delle “zitelle”, il complesso comprendeva anche lo stenditoio e la lavanderia. Fornita di diverse vasche per l’ammollo e il risciacquo della biancheria, visibile nell’area esterna, la lavanderia costituisce un esemplare ben conservato di un’attività lavorativa ormai dimenticata.