I. Kalós kai agathós

La perfezione anatomica dell’atleta antico

Nelle opere esposte a Palazzo Massimo numerose sono quelle che incarnano le virtù intellettuali e fisiche dell’atleta: la tensione verso la perfezione anatomica, la ricerca della vittoria e dell’eccellenza come dono da dedicare agli dei, l’espressione di qualità quasi divine. Il termine “ginnastica”, inteso come cura ed esercizio del corpo, deriva in effetti proprio dal greco “gymnos”, nudo, con riferimento all’atleta che si allena. Nel corso dei secoli la dinamica staticità di queste sculture ha dato vita all’immagine di una realtà priva di turbamenti e colma di bellezza: la nostalgica contemplazione di questi corpi, dalle proporzioni perfette, ha contribuito a generare un immaginario estetico ripreso nel Rinascimento e nel Settecento, con l’ossessione per la perfezione anatomica. Ancora oggi le statue degli atleti sono considerate icona di un “bello” oggettivo. L’ammirazione verso il corpo nudo atletico, dalle proporzioni perfette, è quindi un valore senza tempo che si anima nel linguaggio comune: “un Adone”, “un atleta”, “un uomo dai muscoli scolpiti nel marmo” richiamano alla mente una bellezza d’impronta classica che non cessa di suscitare meraviglia. 

I muscoli tesi e dinamici dei Discoboli e dei numerosi torsi virili, come l’Atleta tipo Monteverdi, il cosiddetto Torso Valentini, il noto Efebo tipo Westmacott, conservano la purezza delle forme nonostante lo stato di conservazione, spesso estremamente lacunoso. Allo stesso modo le teste di efebo e dei vari atleti esprimono la loro nobile fierezza lasciando all’immaginazione il resto della loro essenza.